Comunicato Stampa
Galassie distanti svelano il diradarsi della nebbia cosmica
Nuove osservazioni del VLT tracciano la cronologia della reionizzazione.
12 Ottobre 2011
Alcuni scienziati hanno utilizzato il VLT dell'ESO per sondare l'Universo primevo in diversi momenti, mentre stava diventando trasparente alla luce ultravioletta. Questa breve ma drammatica fase della storia cosmica che va sotto il nome di reionizzazione si è svolta circa 13 miliardi di anni fa. Studiando con attenzione alcune delle più lontane galassie mai scoperte, l'equipe ha potuto stabilire la cronologia della reionizzazione per la prima volta. Si è anche dimostrato che questa fase è stata probabilmente più veloce di quanto finora ipotizzato.
Un'equipe internazionale di astronomi ha utilizzato il VLT come una macchina del tempo, per guardare indietro all'Universo primordiale e osservare alcune delle galassie più distanti mai scoperte. Essi hanno potuto misurare accuratamente le distanze delle galassie e hanno scoperto che le vediamo come esse erano in un'epoca che si colloca all'incirca tra i 780 milioni e il miliardo di anni dopo il Big Bang [1].
Le nuove osservazioni hanno permesso agli astronomi di stabilire per la prima volta una cronologia per quella che viene chiamata l'era della reionizzazione [2]. Durante questa fase la nebbia di idrogeno gassoso dell'Universo primevo si stava rarefacendo, permettendo così alla luce ultravioletta di passarvi attraverso per la prima volta indisturbata.
Il nuovo risultato, che verrà pubblicato sulla rivista "Astrophysical Journal", si è basato su una lunga e sistematica ricerca di galassie distanti che l'equipe ha svolto con il VLT negli ultimi tre anni.
"Gli archeologi possono ricostruire la linea del tempo dagli artifatti che trovano nei diversi strati di terreno. Gli astronomi sono ancora più fortunati: possiamo osservare direttamente il passato lontano e vedere la debole luce delle diverse galassie a diversi stadi di evoluzione cosmica," spiega Adriano Fontana dell'INAF-Osservatorio Astronomico di Roma che ha guidato il progetto. "La differenza tra le galassie ci mostra le condizioni dell'Universo che mutano in questo periodo così importante, e quanto in fretta si verificavano questi cambiamenti."
Elementi chimici diversi brillano di colori caratteristici. Questi picchi di luminosità sono detti righe di emissione. Una delle righe più brillanti nell'ultravioletto è la righa Lyman-alfa, prodotta dall'idrogeno gassoso [3]. È brillante e ben riconoscibile anche nell'osservazione di galassie molto deboli e lontane.
Identificare la riga Lyman-alfa in cinque galassie distanti [4] è stato cruciale per gli astronomi: ha permesso infatti, dalla misura di quanto la riga fosse spostata verso l'estremità rossa dello spettro, di determinare la distanza delle galassie e di conseguenza l'epoca a cui le stiamo osservando, cioè quanti anni dopo il Big Bang [5]. Questo ha anche permesso di ordinarle in una sorta di linea temporale che ci mostra come la luce delle galassie sia cambiata nel tempo. Inoltre, gli astronomi hanno potuto stimare quanto la riga di emissione Lyman-alfa -- che proviene dall'idrogeno eccitato che risplende all'interno delle galassie -- fosse stata riassorbita dalla nebbia di idrogeno cosmico che permeava lo spazio intergalattico nelle diverse epoche.
"Vediamo un'enorme differenza tra le galassie più giovani e quelle più vecchie del nostro campione per quanto riguarda la quantità di luce ultravioletta che viene bloccata", dice la prima autrice dell'articolo Laura Pentericci dell'INAF-Osservatorio Astronomico di Roma. "Quando l'Universo aveva solo 780 milioni di anni l'idrogeno neutro era molto abbondante e riempiva dal 10% al 50% del volume dell'Universo. Ma solo 200 milioni di anni dopo la quantità di idrogeno neutro era scesa a un livello molto basso, simile a quello che vediamo oggi. Sembra che la reionizzaizione sia avvenuta molto più in fretta di quanto gli astronomi pensassero."
Oltre a verificare la rapidità con cui la nebbia primordiale si è dissipata, le osservazioni dell'equipe danno anche indicazioni sulla probabile sorgente di luce ultravioletta che ha fornito l'energia necessaria a dare inizio alla reionizzazione. Molte teorie alternative cercano di spiegare da dove provenga la luce -- due tra i più probabili candidati sono la prima generazione di stelle dell'Universo [6] e l'intensa radiazione emessa dalla materia mentre cade sui buchi neri.
"L'analisi dettagliata della debole luce proveniente da due delle più lontane galassie che abbiamo trovato suggerisce che la prima generazione di stelle possa aver contribuito alla produzione osservata di energia", dice Eros Vanzella dell'INAF-Osservatorio di Trieste, membro del gruppo di ricerca. "Queste avrebbero dovuto essere stelle molto giovani e massicce, circa cinquemila volte più giovani e cento volte più massicce del Sole, e potrebbero essere state in grado di dissolvere la nebbia primordiale e renderla trasparente."
Le misure così precise, che servono per confermare o smentire questa ipotesi e mostrare che le stelle possono veramente produrre l'energia necessaria, richiedono osservazioni dallo spazio, oppure dall'EELT dell'ESO attualmente in progetto, che diventerà il più grande occhio del mondo rivolto al cielo, quando verrà completato nel prossimo decennio.
Studiare questo periodo dell'inizio della storia cosmica è molto impegnativo dal punto di vista tecnico poichè servono osservazioni molto accurate di galassie molto distanti e deboli, un compito che può essere svolto solo dai telescopi più potenti. Per questo studio l'equipe ha usato il grande potere di raccolta della luce del VLT di 8,2 metri al fine di effettuare osservazioni spettroscopiche, osservando galassie identificate inizialmente dal Telescopio Spaziale Hubble della NASA/ESA e in immagini profonde del VLT.
Note
[1] La galassia più lontana la cui distanza sia stata misurata attraverso misure spettroscopiche si trova ad un redshift di 8,6, che corrisponde a circa 600 milioni di anni dopo il Big Bang (eso1041). Il telescopio spaziale Hubble ha forse identificato una galassia addirituttura a redshift 10 (480 milioni di anni dopo il Big Bang), ma si attende una conferma della misura. La galassia più distante utilizzata in questo studio si trova a redshift 7,1, cioè circa 780 milioni di anni dopo il Big Bang. Oggi l'Universo ha 13,7 miliardi di anni. Il nuovo campione di cinque galassie, su venti candidati, in cui è stata confermata la detezione della riga Lyman-alfa comprende metà delle galassie note a z > 7.
[2] Nel momento in cui si sono formate le prime stelle e le galassie, l'Universo era riempito da idrogeno gassoso elettricamente neutro, che assorbe la luce ultravioletta. Quando la radiazione ultravioletta emessa dalle prime galassie iniziò a eccitare il gas, rendendolo carico elettricamente (ionizzato), questo divenne man mano trasparente alla luce ultravioletta. Questo processo tecnicamente si chiama reionizzazione, poichè si pensa che per un breve periodo, compreso nei primi 100 000 anni dopo il Big Bang, l'idrogeno fosse già ionizzato.
[3] L'equipe ha misurato gli effetti della nebbia di idrogeno usando la spettroscopia, una tecnica che richiede di suddividere la luce dalla galassia nei suoi colori componenti, così come un prisma scompone la luce del Sole in un arcobaleno.
[4] L'equipe ha usato il VLT per studiare gli spettri di 20 candidati a redshift vicino a 7. Queste galassie sono state trovate nelle immagini profonde di tre diversi campi. Tra queste 20, cinque hanno mostrato chiaramente emissione Lyman-alfa. Questo è al momento l'unico campione di galassie con redshift confermato spettroscopicamente intorno a z=7.
[5] Poichè l'Universo è in espansione, la lunghezza d'onda emessa dai corpi celesti viene allungata mentre attraversa lo spazio. Più lontano la luce viaggia e più la lunghezza d'onda aumenta. Poichè il rosso corrisponde alla lunghezza d'onda maggiore visibile dai nostri occhi, questo effetto sulla luce delle galassie lontane viene chiamato "redshift", cioè spostamento verso il rosso. Anche se è tecnicamente una misura di quanto il colore della luce sia stato modificato, è divenuto per estensione anche una misura della distanza del corpo celeste, e di quanto tempo dopo il Big Bang lo vediamo.
[6] Gli astronomi classificano le stelle in tre grandi categorie, note come Popolazione I, Popolazione II e Popolazione III. Le stelle di Popolazione I, come il Sole, contengono molti elementi pesanti prodotti nel cuore delle stelle più vecchie e nelle esplosioni di supernova: poichè sono formate dai relitti di una generazione precedente di stelle, sono apparse nell'Universo solo in un'epoca tarda. Le stelle di Popolazione II hanno una minor quantità di elementi pesanti e sono composte soprattutto da idrogeno, elio e litio creati durante il Big Bang. Queste sono stelle più vecchie, anche se molte sono ancora oggi presenti nell'Universo. Le stelle di Popolazione III non sono mai state osservate direttamente, anche se si pensa che siano esistite nei primi periodi di vita dell'Universo. Poichè potevano contenere solo materiale creato durante il Big Bang, non erano composte da nessuno degli elementi più pesanti. A causa del ruolo degli elementi pesanti nella formazione delle stelle, in questa epoca potevano formarsi solo stelle molto grandi con vite molto brevi e perciò le stelle di Popolazione III hanno terminato la loro breve vita molto rapidamente come supernove nell'Universo primordiale. Fino ad oggi l'esistenza di stelle di Popolazione III non ha avuto alcuna prova concreta neppure nell'osservazione di galassie molto distanti.
Ulteriori Informazioni
Questa ricerca è descritta nell'articolo "Spectroscopic Confirmation of z~7 LBGs: Probing the Earliest Galaxies and the Epoch of Reionization", che verrà pubblicato dalla rivista Astrophysical Journal.
L'equipe è composta da L.Pentericci (INAF Osservatorio Astronomico di Roma, Roma, Italia [INAF-OAR]), A. Fontana (INAF-OAR), E. Vanzella (INAF Osservatorio Astronomico di Trieste, Trieste, Italia [INAF-OAT]), M. Castellano (INAF-OAR), A. Grazian (INAF-OAR), M. Dijkstra (Max-Planck-Institut fur Astrophysik, Garching, Germania), K. Boutsia (INAF-OAR), S. Cristiani (INAF-OAT), M. Dickinson (National Optical Astronomy Observatory, Tucson, USA), E. Giallongo (INAF-OAR), M. Giavalisco (University of Massachusetts, Amherst, USA), R. Maiolino (INAF-OAR), A. Moorwood (ESO, Garching), P. Santini (INAF-OAR).
L'ESO (European Southern Observatory) è la principale organizzazione intergovernativa di Astronomia in Europa e l'osservatorio astronomico più produttivo al mondo. È sostenuto da 15 paesi: Austria, Belgio, Brasile, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Olanda, Portogallo, Repubblica Ceca, Spagna, Svezia, e Svizzera. L'ESO svolge un ambizioso programma che si concentra sulla progettazione, costruzione e gestione di potenti strumenti astronomici da terra che consentano agli astronomi di realizzare importanti scoperte scientifiche. L'ESO ha anche un ruolo di punta nel promuovere e organizzare la cooperazione nella ricerca astronomica. L'ESO gestisce tre siti osservativi unici al mondo in Cile: La Silla, Paranal e Chajnantor. Sul Paranal, l'ESO gestisce il Very Large Telescope, osservatorio astronomico d'avanguardia nella banda visibile e due telescopi per survey. VISTA, il più grande telescopio per survey al mondo, lavora nella banda infrarossa mentre il VST (VLT Survey Telescope) è il più grande telescopio progettato appositamente per produrre survey del cielo in luce visibile. L'ESO è il partner europeo di un telescopio astronomico di concetto rivoluzionario, ALMA, il più grande progetto astronomico esistente. L'ESO al momento sta progettando l'European Extremely Large Telescope o E-ELT (significa Telescopio Europeo Estremamente Grande), della classe dei 40 metri, che opera nell'ottico e infrarosso vicino e che diventerà "il più grande occhio del mondo rivolto al cielo".
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Sul Comunicato Stampa
Comunicato Stampa N": | eso1138it-ch |
Nome: | Galaxies, NTTDF-474 |
Tipo: | Early Universe : Galaxy Early Universe : Cosmology |
Facility: | Very Large Telescope |
Instruments: | FORS2 |
Science data: | 2011ApJ...743..132P |