Comunicato Stampa
Un buco nero in rapida rotazione che inghiottisce una stella: così si spiega l'evento superluminoso
I telescopi dell'ESO aiutano a reinterpretare un'esplosione molto brillante
12 Dicembre 2016
Un punto luminoso straordinariamente brillante apparso in una galassia distante, chiamato ASASSN-15lh, era stato interpretato come la supernova più brillante mai vista. Ma nuove osservazioni da diversi osservatori, tra cui l'ESO, ne hanno messo in dubbio la classificazione. Un gruppo di astronomi propone infatti che la sorgente sia un evento ancora più estremo e raro: un buco nero in rapida rotazione che riduce a brandelli una stella che gli si è avvicinata troppo.
Nel 2015, la survey automatizzata per supernove a tutto cielo (ASAS-SN, dall'inglese All Sky Automated Survey for SuperNovae) ha registrato un evento, chiamato ASASSN-15lh, indicato come la supernova più brillante mai osservata e classificato come una supernova superluminosa, l'esplosione cioè di una stella molto massiccia alla fine della propria vita. Era brillante il doppio del precedente record e la sua luminosità di picco era 20 volte maggiore della luce totale prodotta dalla Via Lattea.
Un'equipe internazionale, guidata da Giorgos Leloudas del Weizmann Institute of Science, Israele, e del Dark Cosmology Centre, Danimarca, ha effettuato ulteriori osservazioni della galassia distante, a circa 4 miliardi di anni luce dalla Terra, in cui è avvenuta l'esplosione e ha in seguito proposto una diversa spiegazione per l'evento straordinario.
"Abbiamo osservato la sorgente per 10 mesi dopo l'evento e abbiamo concluso che la spiegazione può difficilmente essere una supernova brillante. I nostri risultati indicano che l'evento è stato probabilmente causato da un buco nero supermassiccio in rapida rotazione che ha distrutto una stella di piccola massa," spiega Leloudas.
In questo scenario, le forze gravitazionali estreme del buco nero supermassiccio, nel centro della galassia ospite, hanno dilaniato una stella simile al Sole che gli si è avvicinata troppo - un evento cosiddetto di "distruzione mareale", finora osservato solo in una decina di casi. Nel processo la stella è stata "spaghettificata" e le onde d'urto svilupate tra i detriti della collisione insieme con il calore prodotto dall'accrescimento hanno prodotto un lampo di luce. Ciò ha dato all'evento l'aspetto di un'esplosione di supernova molto brillante, anche se la stella aveva una massa troppo piccola per poter mai diventare una supernova.
L'equipe ha basato le sue conclusioni su osservazioni realizzate da un certo numero di telescopi, sia da terra che dallo spazio, tra cui il VLT (Very Large Telescope) all'Osservatorio di Paranal dell'ESO, l'NTT (New Technology Telescope) all'Osservatorio di La Silla dell'ESO e il telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA [1]. Le osservazioni con NTT rientravano nella survey pubblica dell'ESO per osservazioni spettroscopiche di sorgenti transienti (PESSTO, da Public ESO Spectroscopic Survey of Transient Objects, in inglese).
"Diversi aspetti indipendenti delle osservazioni suggeriscono che l'evento sia stato davvero una distruzione mareale e non un supernova superluminosa," spiega il coautore Morgan Fraser dell'University of Cambridge, Regno Unito (ora all'University College di Dublino, Irlanda).
In particolare, i dati hanno rivelato che l'evento ha attraversato tre diverse fasi nei dieci mesi di osservazioni. I dati assomigliano complessivamente più a ciò che ci si aspetta da un evento di distruzione mareale che a una supernova. L'aumento della luminosità in luce ultravioletta e l'aumento della temperatura riducono la probabilità che si sia trattato di un evento simile a una supernova. Inoltre, l'ubicazione dell'evento - una galassia rossa, massiccia e passiva - non è il luogo in cui di solito ci sia aspetta un'esplosione superluminosa di supernova, cioè una galassia nana blu e con alta formazione stellare.
Anche se l'equipe sostiene che una supernova è molto improbabile, è consapevole che nemmeno un'evento classico di distruzione mareale sarebbe una spiegazione adeguata per l'evento. Nicholas Stone, della Columbia University, USA, membro dell'equipe, elabora ulteriormente la spiegazione: "L'evento di distruzione mareale che proponiamo non può essere spiegato da un buco nero supermassiccio fermo. Sosteniamo invece che ASASSN-15lh sia stato prodotto da un tipo particolare di buco nero."
La massa della galassia ospite implica che il buco nero supermassiccio al centro abbia una massa di almeno 100 milioni di volte quella del Sole. Un buco nero di questa massa non sarebbe di solito in grado di distruggere una stella al di fuori del proprio orizzonte degli eventi - il limite entro il quale nulla può sfuggire alla sua attrazione gravitazionale. Ma se il buco nero è di un tipo particolare, cioè in rapida rotazione - un cosiddetto buco nero di Kerr - la situazione cambia e il limite non si applica più.
"Anche usando tutti i dati raccolti finora non possiamo stabilire con certezza assoluta che ASASSN-15lh sia stato un evento di distruzione mareale," conclude Leloudas. "Ma per il momento è la spiegazione di gran lunga più probabile."
Note
[1] Oltre ai dati del VLT (Very Large Telescope) dell'ESO, dell'NTT (New Technology Telescope) dell'ESO e del telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA, l'equipe ha usato osservazioni del telescopio Swift della NASA, del telescopio globale LCOGT (Las Cumbres Observatory Global Telescope), di ATCA (Australia Telescope Compact Array), del telescopio XMM-Newton dell'ESA, dello spettrografo a grande campo WiFeS (Wide-Field Spectrograph) e del telescopio Magellano.
Ulteriori Informazioni
Questo lavoro è stato presentato nell'articolo intitolato “The Superluminous Transient ASASSN-15lh as a Tidal Disruption Event from a Kerr Black Hole”, di G. Leloudas et al. che verrà pubblicato dalla nuova rivista Nature Astronomy.
L'equipe è composta da G. Leloudas (Weizmann Institute of Science, Rehovot, Israele; Niels Bohr Institute, Copenhagen, Danimarca), M. Fraser (University of Cambridge, Cambridge, Regno Unito), N. C. Stone (Columbia University, New York, USA), S. van Velzen (The Johns Hopkins University, Baltimore, USA), P. G. Jonker (Netherlands Institute for Space Research, Utrecht, Paesi Bassi; Radboud University Nijmegen, Nijmegen, Paesi Bassi), I. Arcavi (Las Cumbres Observatory Global Telescope Network, Goleta, USA; University of California, Santa Barbara, USA), C. Fremling (Stockholm University, Stockholm, Svezia), J. R. Maund (University of Sheffield, Sheffield, Regno Unito), S. J. Smartt (Queen’s University Belfast, Belfast, Regno Unito), T. Krühler (Max-Planck-Institut für extraterrestrische Physik, Garching b. München, Germania), J. C. A. Miller-Jones (ICRAR - Curtin University, Perth, Australia), P. M. Vreeswijk (Weizmann Institute of Science, Rehovot, Israele), A. Gal-Yam (Weizmann Institute of Science, Rehovot, Israele), P. A. Mazzali (Liverpool John Moores University, Liverpool, Regno Unito; Max-Planck-Institut für Astrophysik, Garching b. München, Germania), A. De Cia (European Southern Observatory, Garching b. München, Germania), D. A. Howell (Las Cumbres Observatory Global Telescope Network, Goleta, USA; University of California Santa Barbara, Santa Barbara, USA), C. Inserra (Queen’s University Belfast, Belfast, Regno Unito), F. Patat (European Southern Observatory, Garching b. München, Germania), A. de Ugarte Postigo (Instituto de Astrofisica de Andalucia, Granada, Spain; Niels Bohr Institute, Copenhagen, Danimarca), O. Yaron (Weizmann Institute of Science, Rehovot, Israele), C. Ashall (Liverpool John Moores University, Liverpool, Regno Unito), I. Bar (Weizmann Institute of Science, Rehovot, Israele), H. Campbell (University of Cambridge, Cambridge, Regno Unito; University of Surrey, Guildford, Regno Unito), T.-W. Chen (Max-Planck-Institut für extraterrestrische Physik, Garching b. München, Germania), M. Childress (University of Southampton, Southampton, Regno Unito), N. Elias-Rosa (Osservatoria Astronomico di Padova, Padova, Italia), J. Harmanen (University of Turku, Piikkiö, Finlandia), G. Hosseinzadeh (Las Cumbres Observatory Global Telescope Network, Goleta, USA; University of California Santa Barbara, Santa Barbara, USA), J. Johansson (Weizmann Institute of Science, Rehovot, Israele), T. Kangas (University of Turku, Piikkiö, Finlandia), E. Kankare (Queen’s University Belfast, Belfast, Regno Unito), S. Kim (Pontificia Universidad Católica de Chile, Santiago, Cile), H. Kuncarayakti (Millennium Institute of Astrophysics, Santiago, Cile; Universidad de Chile, Santiago, Cile), J. Lyman (University of Warwick, Coventry, Regno Unito), M. R. Magee (Queen’s University Belfast, Belfast, Regno Unito), K. Maguire (Queen’s University Belfast, Belfast, Regno Unito), D. Malesani (University of Copenhagen, Copenhagen, Danimarca; DTU Space, Danimarca), S. Mattila (University of Turku, Piikkiö, Finlandia; Finnish Centre for Astronomy with ESO (FINCA), University of Turku, Piikkiö, Finlandia; University of Cambridge, Cambridge, Regno Unito), C. V. McCully (Las Cumbres Observatory Global Telescope Network, Goleta, USA; University of California Santa Barbara, Santa Barbara, USA), M. Nicholl (Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, Cambridge, Massachusetts, USA), S. Prentice (Liverpool John Moores University, Liverpool, Regno Unito), C. Romero-Cañizales (Pontificia Universidad Católica de Chile, Santiago, Cile; Millennium Institute of Astrophysics, Santiago, Cile), S. Schulze (Pontificia Universidad Católica de Chile, Santiago, Cile; Millennium Institute of Astrophysics, Santiago, Cile), K. W. Smith (Queen’s University Belfast, Belfast, Regno Unito), J. Sollerman (Stockholm University, Stockholm, Svezia), M. Sullivan (University of Southampton, Southampton, Regno Unito), B. E. Tucker (Australian National University, Canberra, Australia; ARC Centre of Excellence for All-sky Astrophysics (CAASTRO), Australia), S. Valenti (University of California, Davis, USA), J. C. Wheeler (University of Texas at Austin, Austin, USA), e D. R. Young (Queen’s University Belfast, Belfast, Regno Unito).
L'ESO (European Southern Observatory, o Osservatorio Australe Europeo) è la principale organizzazione intergovernativa di Astronomia in Europa e l'osservatorio astronomico più produttivo al mondo. È sostenuto da 16 paesi: Austria, Belgio, Brasile, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Spagna, Svezia, e Svizzera, oltre al paese che ospita l'ESO, il Cile. L'ESO svolge un ambizioso programma che si concentra sulla progettazione, costruzione e gestione di potenti strumenti astronomici da terra che consentano agli astronomi di realizzare importanti scoperte scientifiche. L'ESO ha anche un ruolo di punta nel promuovere e organizzare la cooperazione nella ricerca astronomica. L'ESO gestisce tre siti osservativi unici al mondo in Cile: La Silla, Paranal e Chajnantor. Sul Paranal, l'ESO gestisce il Very Large Telescope, osservatorio astronomico d'avanguardia nella banda visibile e due telescopi per survey. VISTA, il più grande telescopio per survey al mondo, lavora nella banda infrarossa mentre il VST (VLT Survey Telescope) è il più grande telescopio progettato appositamente per produrre survey del cielo in luce visibile. L'ESO è il partner principale di ALMA, il più grande progetto astronomico esistente. E sul Cerro Armazones, vicino al Paranal, l'ESO sta costruendo l'European Extremely Large Telescope o E-ELT (significa Telescopio Europeo Estremamente Grande), un telescopio da 39 metri che diventerà "il più grande occhio del mondo rivolto al cielo".
La traduzione dall'inglese dei comunicati stampa dell'ESO è un servizio dalla Rete di Divulgazione Scientifica dell'ESO (ESON: ESO Science Outreach Network) composta da ricercatori e divulgatori scientifici da tutti gli Stati Membri dell'ESO e altri paesi. Il nodo italiano della rete ESON è gestito da Anna Wolter.
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Sul Comunicato Stampa
Comunicato Stampa N": | eso1644it-ch |
Nome: | Black hole |
Tipo: | Early Universe : Galaxy : Component : Central Black Hole |
Facility: | New Technology Telescope, Very Large Telescope |
Science data: | 2016NatAs...1E...2L |